Osteosarcoma, terapie

osteosarcoma

osteosarcomaL’osteosarcoma, anche detto sarcoma osteogeno, è una neoplasia maligna che coinvolge il tessuto osseo con una rapidità notevole e si verifica principalmente nei soggetti adolescenti, senza una motivazione specifica e in quelli anziani, principalmente come complicazione della malattia di Paget.

Proprio a causa della rapidità con cui metastatizza, l’osteosarcoma si diffonde velocemente ai polmoni e più raramente ad altre regioni dell’organismo.

Nonostante possa comparire a qualsiasi livello, sembra che le ossa lunghe (omero, radio e ulna, femore, tibia e fibula) abbiano un’incidenza maggiore, addirittura del 90%.

I sintomi più comuni legati a questa patologia riguardano soprattutto il dolore all’osso colpito, di grado variabile a seconda della gravità e dello stadio del tumore; possono comparire anche gonfiori e tumefazioni nella stessa sede, mentre il tessuto osseo interessato dal processo neoplastico può rarefarsi al punto tale da diventare più fragile e andare incontro a fratture, definite patologiche per differenziarle da quelle traumatiche.

La diagnosi di osteosarcoma si ottiene da una visita fisiatrica specialistica, tramite la quale il medico emette sospetto della patologia e richiesta di esami diagnostici mirati.

Tra questi il primo esame diagnostico richiesto è sempre una radiografia locale, a cui può seguire una scintigrafia ossea e una tomografia a emissione di positroni (PET): se la radiografia permette di evidenziare le alterazioni del tessuto osseo neoformato, la PET e la scintigrafia consentono invece di visualizzare eventuali metastasi e origine del processo tumorale.

In sostituzione alla PET e alla scintigrafia possono anche essere richieste la tomografia computerizzata (TAC) e la risonanza magnetica (RMN) con la stessa finalità.

Questi esami però permettono al medico di evidenziare l’alterazione tissutale in atto e le eventuali micrometastatizzazioni diffuse, ma la diagnosi definitiva di osteosarcoma si può ottenere solo con l’esame bioptico del tessuto osseo alterato.

Nel momento in cui si ottiene diagnosi di certezza di osteosarcoma, la terapia va improntata sulla base di alcuni importanti fattori: stato di salute generale ed età del paziente, stadio e aggressività della neoplasia, possibilità di intervenire chirurgicamente e chemioterapicamente, esiti degli esami collaterali eseguiti sul soggetto.

Generalmente la terapia prevede o l’utilizzo della chemioterapia o l’asportazione chirurgica della sede interessata dall’osteosarcoma o una combinazione delle due metodiche insieme.

Attualmente, però, si propende sempre più verso un trattamento chirurgico conservativo dell’osteosarcoma e verso la chemioterapia neoadiuvante.

Quest’ultima fa sì che il farmaco chemioterapico vada ad uccidere le cellule tumorali entrando per via sistemica nell’intero organismo; la chemioterapia neoadiuvante è un trattamento eseguito prima dell’intervento chirurgico, con uno o più cicli terapeutici, al fine di ridurre le dimensioni dell’osteosarcoma, permettendo di asportarlo più facilmente in sede operatoria

Successivamente all’intervento di asportazione del tumore osseo, viene solitamente eseguito uno o più cicli di chemioterapia adiuvante con la finalità di eliminare ed uccidere eventuali cellule malate che non sono state asportate in chirurgia.

Se decenni fa l’asportazione chirurgica degli osteosarcomi avveniva in maniera molto invasiva e distruttiva, oggi si cerca quanto più di utilizzare un metodo conservativo che vada a minimizzare le mutilazioni fisiche e a ridurre il trauma chirurgico stesso.

Questa nuova modalità di approccio è possibile grazie alla maggior efficacia dei nuovi farmaci, alla precocità delle diagnosi di osteosarcoma e alla possibilità di reintegrare le porzioni ossee asportate con innesti ossei omologhi (provenienti da donatori compatibili) o autologhi (provenienti dal paziente stesso), così come da protesi di metallo o di materiali biocompatibili.

La problematica di questo tipo di chirurgia conservativa riguarda solo la crescita ossea dei soggetti molto giovani e dei bambini, anche se si sta sempre più sostituendo la protesi classica con una in grado di seguire l’accrescimento osseo, limitando in futuro il numero di interventi necessari ad un adeguamento dello sviluppo.

Anche per le ossa più difficilmente asportabili e operabili si stanno mettendo a punto metodiche chirurgiche sempre più affinate e mininvasive, che consentano al paziente di recuperare nel post-operatorio in tempi più brevi.

Accanto a questi approcci preferenziali possono anche essere proposti altri metodi collaterali, quali radioterapia, terapie immunommodulanti e terapie con anticorpi monoclonali.